Il gioco nei bambini

Nel bambino la tendenza a giocare è innata, ma il modo in cui lo fa, gli strumenti che usa, il luogo in cui si esprime sono culturalmente determinati, tramandati da generazione in generazione. Gli adulti spesso affermano che il bambino è “libero” di scegliere con cosa giocare, ma inconsciamente omettono che questa scelta avviene in un campo limitato. Nei giocattoli la differenziazione sessuale viene espressa in modo evidente nel mondo del commercio, dove vengono nettamente divisi giochi per maschi e per femmine.



 Le stereotipie di genere appaiono fin dai primi mesi quando al bambino vengono regalati i primi sonaglini, dentaruoli o oggettini che sono catalogati in base al sesso, fino ad ampliarsi con i primi pupazzetti: le bamboline hanno un aspetto indubbiamente femminile e sono riservate alle bambine, mentre gli animaletti vengono donati prettamente ai maschietti, dato che la bambola viene vietata quasi subito. Mentre il maschietto viene lasciato libero di giocare come crede con il nuovo “amico”, alla femmina, prima di consegnarle il bambolotto, si insegnano “le cure parentali” a cui deve essere sottoposto, ad esempio come lo si culla, il momento dell’alimentazione o della pulizia, e ciò le porta ad acquisire il riflesso bambola- cullare già verso gli undici- dodici mesi. L’addestramento alle future funzioni materne continua quando la più grande preoccupazione di alcuni genitori è quella di far sì che le bambine non smettano di giocare con le bambole, mentre il maschietto viene spinto verso giochi aggressivi e competitivi, a meno che non si tratti di un gioco di gruppo in cui egli abbia la possibilità di assumere un ruolo maschile. 

Oltre alla classica divisione tra giochi maschili e femminili, esiste anche la categoria di quelli neutri, in genere composti da materiale non strutturato, come costruzioni, puzzle o materiali malleabili, strumenti musicali o da disegno, ma alcuni di essi presentano elementi perfettamente identificabili e strutturati in cui la differenziazione per sesso si fa netta (suppellettili e oggetti casalinghi per le femmine, mezzi di trasporto per i maschi).


Maschi e femmine differiscono, oltre che nella scelta dei giochi, anche nel modo in cui li usano, ovvero nello stile ludico. Ad esempio la riduzione, se non l’annullamento, forzati dell’aggressività nelle bambine le portano a scegliere modalità di gioco che siano socialmente accettate.


Tutto questo porta ad un’ulteriore categorizzazione tra giochi composti e quelli scomposti, che determina il codice di atteggiamenti e comportamenti permessi e vietati. Per il bambino è del tutto incomprensibile l’ordine “stai fermo”, perché il fatto di muoversi deriva semplicemente dalla soddisfazione di un impulso, e per gli adulti appare strano che egli debba passare attraverso una fase di irrequietezza per diventare sedentario, non tollerano i giochi di movimento o, peggio ancora, non li capiscono. La motricità richiede una finissima coordinazione neuromuscolare e un’intensa attività cerebrale: più il bambino si muove più ha occasione di fare esperienze sensoriali diverse e sviluppare la sua intelligenza, a cui contribuisce anche il vivere in un ambiente ricco di stimoli; il reprimere la sua vivacità trasmette al bambino il messaggio di non essere accettato per quello che è e accende tutta una serie di conflitti interni: non sopportano di essere diversi dai coetanei, perché la diversità porta ad essere considerati strani, rifiutati e criticati, dunque il conformismo è necessario per i modelli e le regole che rassicurano. 



Dollard definisce il complesso di questi processi come tipizzazione dei sessi che non cerca di preparare i bambini ai loro ruoli futuri, ma di volgere le femmine al loro posto di donne e madri e i maschi a detentori di potere. La tipizzazione in senso biologico è tale solo per quanto riguarda la procreazione, diversamente si tratta di un processo culturale.

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