La maschera dell'uomo nella società

"Non sono quello che dovrei essere e neanche quello che ho intenzione di essere, però non sono quello che ero prima." 

(Erikson)


Oggigiorno risulta più difficile essere che apparire, in particolare nelle situazioni pubbliche. Ognuno di noi, anche se inconsciamente, è condizionato dal mondo esterno e deve adattarsi a varie situazioni. La società costruisce una specie di trappola in cui l’individuo non può esprimere il proprio IO, trovandosi in un ambiente costrittivo. Si cerca, così, rifugio in miti irraggiungibili, creando attorno a se un mondo di fantasia, che permette di sognare l’impossibile ed essere una persona diversa da quella che si è. E’ difficile mostrarsi agli altri per quello che siamo, perché nemmeno noi stessi riusciamo a capirlo.
La televisione, usando immagini per proporti la realtà, è più propensa ad ingannare i telespettatori mostrando personaggi difficili da raggiungere. Non potendo soddisfare quest’aspirazione immaginaria, l’uomo si accontenta di apparire come vorrebbe essere, arrivando a modificare il proprio corpo, oltre i comportamenti. Tutti sono, quindi, “costretti” a recitare per non stonare nell'ambiente armonioso della società moderna, con apparenze da sovrapporre alla realtà. Ci vuole forza di carattere per esprimere quello che si è.

Portare la maschera è un gesto tipico della quotidianità e non solo del periodo di Carnevale. Questo nasconde un desiderio inconscio di stare nei panni di un altro almeno con la fantasia. Può nascondere la voglia di diventare un altro oppure di mettere in ridicolo i propri tratti fisici e psichici, accentuandoli fino all'esagerazione.
Il nostro Io è l’unico strumento che permette di conoscere la vita e relazionarci con gli altri, è neutrale ma può essere un aiuto o un ostacolo alla nostra crescita. Infatti durante questo arco di tempo, la nostra personalità si forma, si evolve, si modifica a seconda delle situazioni familiari, della esperienze e della cultura acquisita. Nella nostra vita noi adottiamo strategie di “sopravvivenza”, che sono per lo più inconsce  (ad esempio i bambini “seduttivi”, che ottengo tutto con la dolcezza, o al contrario quelli “terribili”). Quei comportamenti adottati in particolari situazioni con il tempo diventano abitudini, riflessi incondizionati, abiti che ci sembrano una seconda pelle. Si accumulano così modelli e maschere che in psicosintesi vengono definite “sub personalità”. 



È come se nella nostra mente vi fosse un teatrino con tanti attori: vi sarà la maschera principale, che rappresenta l’identità che noi accettiamo, con altre poste in secondo piano pronte ad attirare l’attenzione. Ma esse rischiano di toglierci la maggior parte delle energie: bisogna dare spazio a tutte se no vanno per conto loro rovinando anche i nostri migliori progetti. Per evitare tutto ciò bisogna analizzare ogni singola sub personalità, capire come si sono formate e se sono superabili, fino a creare una sintesi di convivenza pacifica e formare una personalità armoniosa con nuove componenti.
Giocando con la psicosociologia dei ruoli, la moda trasforma il lavoro in ozio risolvendo così i problemi di identità: “se volete essere questo vestitevi nel dato modo”. E così non è più necessario agire, ma basta vestirsi per ostentare l’essere dell’azione senza assumere la realtà. I luoghi della moda, secondo il saggista e critico francese Barthes, sono “luoghi assoluti”, quell'altrove di cui si deve afferrare l’essenza diversa che facilita il gioco del sogno. La moda mette quindi a disposizione quel “fare” incessante che allontana alienazione, noia, incertezza e impossibilità economica. Jean-Paul Sartre, in “Questioni di metodo”, osserva come la persona produce un indumento, esprimendosi attraverso ad esso, così come l’indumento produce la persona, quindi trasformando l’indumento si trasforma il proprio essere. 



Solitamente si gioca a quello che non si osa essere e attraverso la moda si può giocare al potere politico, a quello religioso , alla follia o alla guerra. Ma quali sono gli effetti della moda sul mantenimento dell’identità personale? Disastrosi, perché i prodotti della moda, privi di consistenza, durata e poco utili, esistono solo per essere consumati, quindi dove le cose perdono la loro consistenza, il mondo diventa evanescente e con lui la nostra identità. Declinandosi sempre più nell'apparire l’individuo inizia a vedersi con gli occhi degli altri e impara che l’immagine di sé è più importante della sua personalità, tendendo a rivestire la propria personalità di teatralità e fare della vita una rappresentazione e di sé un prodotto di consumo da immettere sul mercato. L’identità diventa incerta e problematica, perché l’individuo non abita più in un mondo stabile e dotato di esistenza dipendente. La differenza tra realtà e apparenza diventa sempre più vaga, come l’identità e lo spazio della libertà, intesa, non come la scelta di una linea d’azione che porta all'individuazione, ma come la scelta di mantenere aperta la libertà di scegliere, dove le identità possono essere indossate e scartate come la cultura della moda ci ha insegnato a fare con  gli abiti. 


“ Siamo ciò che sappiamo fare, ciò che diciamo, ciò che sogniamo. Siamo un insieme di frammenti e non sempre si sa quale ha il maggior peso. Davvero siamo l’abito che indossiamo, il posto in cui trascorriamo il tempo libero? Forse c’è dell’altro, ci sono opportunità che superano le immagini, i messaggi, gli slogan. E che è possibile cogliere solo guardandoci attorno. C’è tutto il resto, che non va inventato ma semplicemente scoperto. Tutto il resto, c’è”
 (Pirandello)

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